domenica 30 agosto 2015

Obama gioca in porta


Obama gioca in porta

Flaminio Oggioni




Giorgio correva veloce verso la porta lontana, volava nella polvere dello sterrato, volava sui suoi piedi magri e nudi, volava come Fasoli, l’ala della Pro Patria.
La mamma, il giorno che lo aveva portato in collegio dalle suore, vicino a Busto, lo aveva consolato: «Dai Giorgio, va’ come è bello qui, c’è il parco, il campo da football e le suore sono brave e poi se hai dei problemi la Carla, tua sorella, è qui con te.»
Giorgio ogni sera andava a letto e piangeva.
Stava meglio a Milano, anche se cadevano le bombe... lì c’erano la mamma, le sorelle, gli amici, il monopattino e il pallone che gli aveva regalato lo zio.
Sì, il pallone! Che passione! Bello, di cuoio stringato, l’unico del cortile.
Al pomeriggio dopo i compiti, tutti lì a correre scalzi dietro la palla e Milano era bella.
La testa si perdeva nella magica atmosfera della partita di pallone. Sparivano le macerie, l’urlo delle sirene e l’odore dei rifugi e il cortile sembrava l’Arena.
«Dai Giorgio, torna a casa, è tardi!» gridava la mamma dal balcone. «Sì, arrivo mamma, un attimo.» Raccoglieva le scarpe lasciate ai bordi del campetto, slacciava il fazzoletto annodato intorno al ditone del piede per calciare più forte e si toglieva la benda sulla fronte che proteggeva dalla stringa del pallone nei colpi di testa.
«Eccomi! Ma, mamma, ancora minestra!»
«Giorgio, mangia la minestra o salta la finestra!»

giovedì 27 agosto 2015

Il cuore di un pugile


Il cuore di un pugile

William Tavecchia


“You’re alone and you know
a few things: the stars are pinholes,
slits in the hangman’s mask.
And the crabs walk sideways
as they were taught by the waves.
You’ll be a dancer with two feet dancing
in the dirt-colored dirt.”

T. Lux, Solo Native in New and Selected
Poems, 1975-1995.



Sono nato in un piccolo quartiere di Napoli nel 1962, non ho mai conosciuto mio padre mentre mia madre era la prostituta del posto. Mio fratello Vincenzo, fan della boxe, a soli quattordici anni possedeva un destro micidiale ma, vivendo in un posto malfamato, dove i ragazzi della nostra età crescevano “malamente”, iniziò ad usare droghe d’ogni tipo bruciandosi la possibilità di diventare un vero pugile.

lunedì 24 agosto 2015

Sta Luigi Re di Francia con tre pulci sulla pancia


Sta Luigi Re di Francia con tre pulci sulla pancia

Maurizio De Filippis

Come ha scritto Eduardo Galeano in Splendori e miserie del gioco del calcio anch’io, come gran parte degli italiani, avrei voluto fare il calciatore. In effetti, da piccolo “giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo. Durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso sui campetti del mio paese.”1 Pur non avendo abbastanza talento per giocare a pallone in una squadra professionistica, mi sono però sempre cimentato in interminabili confronti calcistici disputati su ogni tipo di superficie disponibile: tratturi brulli e sassosi collocati alla periferia dell’impero calcistico milanese, nastri d’asfalto resi roventi dal solleone, arene improvvisate al largo dei bastioni di Quarto Oggiaro. Lungi dal considerarmi “triste solitario y final”2, ho dato il meglio di me con l’avvento, nei primi anni novanta del XX secolo, dei terreni in sintetico: goleade memorabili nei peggiori tornei da bar dell’Hinterland milanese, incontri calcistici degenerati in ludi gladiatori durante innominabili tornei aziendali, sfide estemporanee disputatesi, presso il centro sportivo Dal Lurido – contro Selecciones de fútbol sudamericane o équipes maghrebine per guadagnarsi, sul campo, la conferma definitiva del diritto di prenotazione acquisito telefonicamente. Prima di appendere definitivamente “le mie amate Puma al chiodo”, ho trascorso sui rettangoli da gioco giornate indimenticabili affrontando e sgominando, insieme alla mia Gang, la “meglio gioventù” di Arese, Bollate e paesi limitrofi in una sorta di Mundialito itinerante.3 Tra le tante, ricordo in particolare due gare disputate in trasferta contro esuli cubani di Calle Ocho e pieds noirs algerini a Miami Beach e a Marseille (“coup de boule à la Plage du Prado”), entrambe finite a mazzate. Naturalmente, non si trattava di trasferte calcistiche vere e proprie, ma di partitelle disputate on the beach contro delle rappresentative turistiche locali “mixate” con elementi indigeni. In anticipo sulla globalizzazione, tali confronti “glocal (global - local)” si tenevano, al calare delle prime ombre della sera, direttamente sulla spiaggia durante lo spring-break legato ai nostri studi universitari o nel bel mezzo delle vacanze estive.

venerdì 21 agosto 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (quarta e ultima parte)

(prima parte) (seconda parte) (terza parte)

Ciao Villapizzone

Il Pelanda era sbarcato da qualche giorno a Linate con un volo charter proveniente da Caracas. Si era trasferito in un paesino di fronte all’isola Margarita dove, dopo una lunga serie di disavventure imprenditoriali tra gelati e aspirapolveri, aveva cominciato a trafficare auto usate. Nel giro di qualche anno era riuscito ad avviare un fiorente commercio di Ford e Chevrolet che, non si sa come, faceva venire da Cuba. Insomma, non proprio un commendatore, ma era arrivato a comprarsi una casetta con tanto di veranda sul mare, nulla a che vedere con la stamberga presa in affitto dietro il benzinaio quand’era appena arrivato. E lì, alla fine, aveva deciso di piantar radici. Lontano anni luce dal campetto del Villapizzone.

martedì 18 agosto 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (terza parte)

(prima parte) (seconda parte)

Una notte piuttosto particolare

Potevano essere le quattro o le cinque del mattino, ma nessuno potrà mai dimenticare la figura ciondolante di Vitellozzo davanti al camino di pietra nel vecchio mulino dei genitori di Bicio. Una cascata di capelli lunghi e neri non riusciva a nascondere la sua faccia obliqua immersa dentro una scatoletta di tonno all’olio d’oliva che teneva in una mano. Con l’altra cercava di adescare gli ultimi tranci, ormai ridotti in poltiglia, con una fetta di salame. Il pizzetto che gli circondava la bocca lanciava riflessi giallognoli che s’illuminavano fin sopra la camicia bianca, pezzata da aloni di grasso. Le gambe divaricate, come avrebbe fatto Sonny Liston sul ring contro Cassius Clay, attutivano un pochino il movimento oscillatorio del tronco, ma ogni vibrazione provocava un terremoto nella scatoletta e l’olio colava lungo le sue braccia come una processione.