Solea
Manuela Bertulli
“Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto.
E non sarà mai rubato quest’unico tesoro
ai tuoi gelosi occhi dormienti...
L’insegna paurosa non varcherà mai la soglia
di quella isoletta celeste.
E tu non saprai la legge ch’io, come tanti, imparo,
e a me ha spezzato il cuore: fuori del limbo non v’è eliso”
E. Morante, Dedica a Remo N., in L’isola di Arturo, Einaudi, 1957.
Erano un gruppetto di “mocciosi”, ognuno con un’espressione diversa e un sogno differente da realizzare. Li accomunava però la vivacità, la curiosità e l’innocenza dei loro quattro anni. A quell’età si erano conosciuti in un asilo al confine tra Bollate e Cassina de’ Girasoli. La scuola materna era lì da quasi cinquant’anni e, nel pieno della sua maturità, li aveva accolti e coccolati. Come l’asilo, anche loro erano nati in quella “terra di mezzo” dove, se stai al di qua, sei “rispettabile”, mentre, al di là, non sei più “credibile”, sparisci nella “Corea” delle vecchie case popolari e rischi di perderti nel “bosco” frequentando compagnie poco raccomandabili (“Attenti al lupo!!!”).
Loro, insieme a noi, avevano scelto di credere che ci fosse una possibilità oltre confine. E così, grazie alla nostra imprudenza e allo stupore dell’innocenza dei loro occhi smaniosi di correre dietro una palla e diventare tutt’uno con il fango, ci credemmo e varcammo i cancelli della Solea1 perché i suoi colori giallo-verdi, come quelli di un sole che illumina un prato, suscitavano fiducia e speranza. Ad attenderci trovammo solamente “una donnina piccola così, con due occhi grandi per guardare, e un omino con un cappello piccolo così, che torna sempre tardi da lavorare”: Paola e Renato che, come i custodi delle porte del paradiso, stavano lì da tempo immemorabile.2
In quel piccolo centro sportivo con tante finestrelle colorate c’era di tutto: bravi allenatori, dirigenti competenti, spogliatoi con docce funzionanti, campi da calcio ben tenuti in mezzo ad un mare di palloni e di cicale, persino una palestra per ripararsi dalle intemperie e dal freddo durante l’inverno. Eppure, qualcuno non ci aveva creduto e qualcosa mancava per ridare sicurezza e convinzione ad un quartiere che sembrava ormai averle perse... loro... “i mocciosi”.
Ci trovammo bene, era quasi come aver scovato un rifugio dove ognuno si sentiva accolto per quello che realmente è: un approdo “magico” con un’atmosfera dolce e familiare dal quale non si riusciva, inspiegabilmente, ad allontanarsi... quasi come se la Solea fosse “l’isola che non c’è” da cui, presto o tardi, tutti noi siamo salpati per andare incontro al futuro.3
Quando mi capita di ripensare a quei giorni e ai “giochi della strada che ho chiusi dentro al petto”,4 mi tornano in mente, oltre alle strofe iniziali della canzone di Edoardo Bennato, anche le malinconiche battute conclusive del romanzo L’isola di Arturo della Morante. La scrittrice fa dire al protagonista Artù, ormai prossimo a lasciare per sempre Procida, cioè il luogo in cui è nato e vissuto sino ad allora: “Senti. Non mi va di vedere (l’isola)... mentre s’allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia... Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento. E rimasi col viso sul braccio, senza nessun pensiero, finché Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse: Arturo, su, puoi svegliarti. Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più”.5
Questa è stata per noi la Solea, questo è stato per noi il calcio: un’isola felice, un rifugio con i colori di un sole e il profumo di un prato “piccolo così” oltre il confine conosciuto.
1. M. Davis, Solea, in Sketches of Spain, 1960.
2. L. Dalla, Attenti al lupo, in Cambio, 1990.
3. L’isola che non c’è (Neverland), è il “non-luogo” in cui vive Peter Pan, personaggio inventato nel 1904 da J. M. Barrie (1860-1937). Solo i bambini, con la loro fervida immaginazione, possono giungervi seguendo la“seconda stella a destra questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è”. E. Bennato, L’isola che non c’è, in Sono solo canzonette, 1980.
4. I. Graziani, Agnese, in Agnese dolce Agnese,1979.
5. E. Morante, L’isola di Arturo, Torino, Einaudi, 1957, p. 573.
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